Sono stanco.
Altre tre bombe in Egitto, a Sharm El Sheik e mi cadono letteralmente le palle a terra. Proprio lì in Egitto, nazione che notoriamente ha riempito l’Iraq e l’Afghanistan di truppe e dove nel 1997 una cinquantina di turisti tedeschi e svizzeri vennero fucilati in una scalinata del tempio di Luxor, tedeschi e svizzeri che al tempo avevano notoriamente riempito di truppe qualche stato islamico. (Ai più tardi di comprendonio: sono ironico, i-ro-ni-co.)
Ieri ho visto le immagini dei quattro aspiranti terroristi di Giovedì, dei quattro pirla che invece di quattro bombe hanno fatto scoppiare quattro puzzette, a confronto delle quali i petardi ritoccati con cui mi divertivo a dodici anni erano delle molotov.
Sapete cosa mi ha spaventato?
Uno di loro, quello inquadrato di fianco sulla piattaforma della metro, nelle sue linee essenziali, mi assomiglia; certo, lui è un po’ più scuro e di certo nella testa ha qualcosa che non gira al posto giusto, ma a coprire quella testa vuota ha anche il cappellino che ogni tanto indosso anch’io, sulla schiena lo zainetto imbottito che sempre mi porto dietro (solo che io ci metto la giacchetta e un mattone di libro fantasy comprato pochi giorni fa, ma solo la giacchetta lo riempie per bene) e poi maglietta, pantaloni, scarpe, tutte cose perfettamente “occidentali”, perfettamente conservate nei miei cassetti. Addirittura ho una maglietta con su scritto USA (la comprai con spirito provocatorio nei confronti di un’università il cui rappresentante usava il santino di Lenin come segnalibro) e uno dei quattro terroristi indossava una felpa con la scritta NEW YORK. Per non parlare del fatto che pochi giorni fa un cliente pensava fossi arabo (ora, io non dico che mi debbano scambiare per Gigi Eriksson o Larson, o Svensson, ma da qui a scambiarmi per un arabo ci passano dieci o undici gradi di miopia) e che quando mi gira (ossia quando sorvolo sulla policy del negozio che prevede un viso sempre sbarbato) mi faccio crescere la barbetta di massimo cinque, sei giorni.
Insomma, dietro tutto questo si nasconde il disagio dei miei ultimi viaggi in metropolitana, disagio che da Giovedì si assomma al timore di nuovi attacchi. Se infatti dopo il 7 Luglio si pensava ad un singolo atto rappresentativo, dopo Giovedì tutto risulta sconvolto, secondo la logica per cui non c’è due senza tre e forse quattro, cinque, sei, sette, chissà quante. Il disagio è quello di poter impensierire qualcuno, allo stesso modo in cui qualche giorno fa io son rimasto impensierito nel vedere un simil-arabo di fianco a me nel treno, uno zainetto dietro, una grossa borsa davanti. Ok, io rimango sempre NOT AFRAID, ma siccome ho avvertito una leggera accelerazione cardiaca sono uscito dal treno con molta disinvoltura e ho preso quello successivo.
Cosa mi son ridotto a fare, dunque, per scrollarmi un poco di dosso la mia apparente, perfetta somiglianza con un terrorista:
– ho evitato di far passare i fili del lettore mp3 sotto la maglietta, così che apparisse chiaro da dove partivano e dove uscivano, visto che in caso contrario potevano scambiarsi per i congegni notati sulle magliette dei quattro aspiranti.
– ho giocato a Sudoku, secondo una delle poche certezze per cui un ragazzo che sta per ammazzare altre persone ha altro da fare che risolvere enigmi numerici.
– ho finito il mio cappuccino in 10 minuti, dopodichè ho tenuto il paper cup vuoto in mano per altri trenta, giusto perché di questi tempi rischi cinque pistolettate in testa per molto meno di un paper cup lasciato nella metro (n.d.f.: le metropolitane, presumo per ragioni di sicurezza, non hanno cestini della spazzatura).
– mi faccio tutto il viaggio con il pass collare di Hamleys, secondo un’altra delle poche certezze per cui un terrorista che lavora da Hamleys non c’azzecca per nulla.

Sono stanco dunque, stanco essere privato delle libertà basilari e se è vero che ancora prendo la metropolitana (molti ci hanno rinunciato) è vero che non sono più libero di uscire di casa col cuore in pace, affidando la mia vita nei treni alla sola efficienza della London Underground.
Meno male che oggi mi sono innamorato, veramente. La mia compagnia ha un giocattolo nel terzo piano, un orribile barboncino rosa che cammina e abbaia, e ogni tanto io devo controllare che le batterie funzionino. Il terzo piano è quello con le Barbie, le Bratz, le case di bambole e i bambolotti, il piano dove quasi tutte sono ragazze, e tra le ragazze una nuovissima con il viso da angelo. Da quando l’ho vista il cambio delle batterie mi richiede dieci minuti, faccio finta di trafficare, sistemo scatole già ordinate. Pensavo fosse dell’Est, come tantissime delle ragazze nel negozio, ma Tirso mi ha riferito che è inglese, pure sorella di un ragazzo che gioca a pallone con noi. 17 anni, quasi da galera.
“Tirso, so I got no chances. If she speaks like him, I got no chances to understand her.”
L’Amore ai tempi del Terrore.
cuore