Arrivavano a piedi camminando per giorni, arrivano in aereo con voli low cost. Sono gli italiani in Uk, migranti di ieri e di oggi, protagonisti di una storia lunga duecento anni. Ciò che li accomuna, allora come adesso, è la nostalgia per l’Italia e il senso di sradicamento, che caratterizza specialmente i primi tempi; a differenziarli sono invece le motivazioni che li hanno spinti e li spingono a partire. Già, ma cosa ha portato nel corso del tempo, così tante persone a scegliere di lasciare il Bel Paese?

A cominciare dalla metà dell’Ottocento, fino alla fine degli anni Sessanta, chi parte ha alle spalle una condizione di indigenza, più o meno marcata. La quasi totalità di loro va in cerca di un posto dove poter “far fortuna”, raramente o mai pensa ad una permanenza definitiva. Come sola ambizione ha quella di accumulare quanto basta per diventare proprietaria di una casa e un pezzo di terra nel paese natale, considerato una straordinaria fonte di reddito in grado di permettergli l’indipendenza e l’autosufficienza economica. Le motivazioni alla base di queste migrazioni sono quindi tutte racchiuse nelle tre parole casa, terra, azienda di famiglia. Molti di loro lavorando duramente sono riusciti a realizzare il loro sogno, ma altrettanti, dopo aver migliorato la loro situazione ed essersi sposati (quasi sempre con donne italiane) sono rimasti, trovando difficile fare spostare i figli nati e cresciuti in Inghilterra.

Con l’arrivo degli anni Settanta che le cose cambiano, così come le ragioni per partire. Ad attirare molti giovani in Gran Bretagna sono lo studio della lingua inglese, l’attrazione per un sistema di vita considerato più libero e appagante e soprattutto la garanzia di poter trovare lavoro in brevissimo tempo. Nel successivo periodo buio che sono stati gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, le motivazioni che spingono a partire per l’Uk e principalmente per Londra sono purtroppo prevalentemente legate alla droga. Dall’Italia infatti arrivano moltissimi tossicodipendenti, provenienti da grandi città e da famiglie a basso reddito, la maggior parte confidando in una migliore assistenza sociale, altri per scappare dalla giustizia italiana, altri ancora sperando di cambiare vita in un contesto sociale nuovo.

Ma fortunatamente non c’è solo questo: c’è anche una minoranza (principalmente i rampolli della classe finanziaria italiana) che sbarca nella City per un periodo di formazione da sfruttare una volta rientrati nel Bel Paese. E sono solo il preambolo dell’esercito di giovani talenti che dagli anni Novanta fino alla crisi del 2008 sono corsi nel centro finanziario della capitale britannica per cogliere l’occasione di dimostrare il proprio valore, oltre che per inseguire il sogno di arricchirsi in fretta, spesso al prezzo di ritmi di vita al limite della resistenza, e magari rientrare in patria con un cospicuo gruzzolo che gli consenta di cambiare vita (in questo sostanzialmente non sono molto lontani dai loro predecessori).

Oggi ragazzi e ragazze italiani, la maggior parte di loro altamente qualificati, raggiungono la Gran Bretagna, Londra in particolare, spinti dalla voglia di realizzarsi, di riscattare anni di studi, di trovare altrove ciò che il proprio Paese, ancorato al passato e imbrigliato nella rete del nepotismo e delle conoscenze non è in grado di offrirgli, ossia un’opportunità che ne valorizzi il talento, che gli dia la possibilità di mettersi in gioco, nella consapevolezza però che bisogna lavorare duro perchè nessuno è indispensabile.

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