Quando si parla di emigrazione, nell’immaginario collettivo la figura del migrante è legata al maschio giovane in età lavorativa. Ma accanto a questi uomini, nel nostro caso i giovani italiani che approdavano nel Regno Unito, c’è sempre stata la presenza femminile, anche se essa, nel corso del tempo, è stata protagonista di cambiamenti in quanto a numeri e collocazione sul mercato del lavoro. I primi dati che evidenziano il numero accertato di donne italiane sul suolo britannico sono quelli relativi al censimento inglese del 1861: su 4.608 italiani censiti (4.489 si trovavano in Inghilterra, di cui quasi la metà a Londra) 3.903 sono uomini e solo 705 donne. Un marcato squilibrio che tende però a diminuire con il finire del secolo a seguito del consistente incremento del numero di migranti. Questo infatti comporta la forte presenza di nuclei familiari e perciò una una maggiore componente femminile, la cui percentuale negli anni immediatamente precedenti la Prima Guerra Mondiale si attesta attorno 30%.

Ma è con la fine del secondo conflitto mondiale che i numeri cambiano radicalmente. Tra la fine degli anni Quaranta e tutti gli anni Cinquanta infatti il Regno Unito viene interessato da una seconda imponente ondata migratoria da parte di italiani, provenienti questa volta dal meridione della penisola, in particolar modo dalla Campania, dalla Calabria e dalla Sicilia. A emigrare sono tanti uomini ma soprattutto tante donne. Come mai prima d’ora il numero di queste ultime infatti supera di molto quello dei loro connazionali maschi: stando ai dati del British Census del 1951 sono 20.498 contro 12.661. Tale aumento è determinato da diversi fattori, tra i quali il reclutamento delle donne nei diversi ambiti lavorativi (nell’agricoltura, nell’industria pesante, industria tessile e, in modo particolare, nei servizi, ristorazione e commercio in primis ristorazione e commercio) e, soprattutto, i ricongiungimenti familiari, che interessavano sia i vecchi migranti, che i nuovi arrivati. Questi potevano chiedere di essere raggiunti da moglie e figli dopo i quattro anni di work permit e dimostrando di poter mantenere la famiglia. A raggiungere la Gran Bretagna sono anche quelle che venivano chiamate, “le sposine di guerra”, ossia le donne italiane che seguirono in patria i soldati inglesi.

Come in tutto il Regno Unito, anche a Londra in questo periodo continua il flusso di italiani e specialmente di donne. Molte di loro all’inizio sono impiegate come domestiche, venendo il più delle volte sfruttate, ma ben presto, grazie al passaparola e alla solidarietà che caratterizza la comunità italiana, trovano lavoro in ristoranti e negozi italiani, migliorando così di molto le loro condizioni.

A partire dagli anni Settanta, interessa l’UK un nuovo tipo di emigrazione italiana: si tratta di giovani che raggiungono prevalentemente Londra per imparare l’inglese, impiegati in lavori precari a tempo determinato, in particolare nella ristorazione. Non sono solo maschi, c’è anche una cospicua componente femminile, complice soprattutto la presa di coscienza da parte dalla donna come lavoratrice e la sua conseguente emancipazione che la porta ad avere uno stile di vita simile a quello dell’uomo.
Accanto a questo flusso, che cresce molto negli anni Ottanta, si verifica ancheun’emigrazione altamente qualificata, che tocca specialmente il mondo della finanza così come quello della grande industria e che raggiunge il suo apice alla fine degli anni Novanta.

Nel periodo che va dall’inizio degli anni 2000 fino ai giorni nostri, il fenomeno migratorio continua ad interessare considerevolmente entrambi i sessi dai 25 ai 35 anni. I “migranti” arrivano da tutte le zone d’Italia anche se, in alcune regioni come la Lombardia e la Sicilia, la propensione a lasciare il proprio Paese non è più una prerogativa maschile. A partire sono in fatti in numero maggiore le donne, per lo più nubili e con un alto livello di istruzione.
Ciò che le attrae nella capitale britannica sono le stesse motivazioni dei loro connazionali maschi: la volontà di sfuggire ad un mercato del lavoro “ingessato”, la prospettiva di sviluppo professionale, le infinite possibilità che offre una città dinamica come Londra. Spesso molte arrivano a Londra per turismo, e da quattro o cinque giorni la loro permanenza si trasforma in settimane, mesi e non di rado in anni.

Fonti:
Alessandro Forte “La londra degli italiani. Dai penny ice alla City: due secoli di emigrazione”. Aliberti editore, Roma 2012

Ministero degli affari esteri – Osservatorio sulla formazione e sul lavoro degli italiani all’estero. Rapporto Paese “Gli Italiani nel Regno Unito”- bozza Giugno2008

G.Sacco ”Gli italiani a Londra: una prima analisi” – Annali del Dipartimento di Scienze Statistiche “Carlo Cecchi”. Vol. X (2011)

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