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Esce oggi in Italia, sfidando la scaramanzia e la censura dialettica del Viminale, Diaz – Don’t Clean Up This Blood, il film della fandango che ha cercato di descrivere attraverso una storia coerente la follia di quei giorni nel luglio 2001 durante i quali la coerenza è spesso sfuggita di mano, soprattutto da quelle di chi avrebbe dovuto rappresentare l’ordine.
Ancor di più prova a spiegare partendo dagli atti del processo il corto circuito tra legalità e libertà, che Amnesty International con una agghiacciante definizione ha considerato “la più grave sospensione dei diritti in un Paese democratico dai tempi della Seconda Guerra Mondiale”.
Una frattura della catena reato-giudizio-pena che per anni è stata negata da chi non è intervenuto a prevenirla e di cui la sciagurata morte di Carlo Giuliani è probabilmente l’episodio meno significativo, perché comunque scaturito da una tragica combinazione di eventi imprevedibile benché evitabili.
Negli ultimi dieci anni mi sono lasciato progressivamente coinvolgere da questa brutta storia, leggendo moltissimo ed vedendo ancora di più. Forse perché all’inizio rifiutavo l’idea di una sovrapposizione tra male e bene. La confusione tra giustizia e potere. Il pensiero angosciante di potersi ritrovare in una caserma isolata, all’insaputa di tutti, picchiato, umiliato, seviziato. senza poter gridare aiuto perché quelli che dovrebbero venirti a salvare sono gli stessi che ti stanno manganellando da ore.
Non ci credevo. E non ci ho creduto per mesi. Ho continuato a cercare ovunque una spiegazione ovvia, un pensiero rassicurante, la prova di un malinteso. Ma non c’era niente da capire.
Era solo sangue sporco.
Oggi venerdì 13 aprile, dopo essersi guadagnato il secondo Premio del pubblico nella Sezione Panorama del Festival di Berlino 2012 a febbraio, aver ricevuto 10 minuti di applausi alla fine dell’anteprima al Petruzzelli ed in attesa della proiezione al Parlamento Europeo, Diaz uscirà contemporaneamente in 240 sale italiane, senza restrizioni o limitazioni di età.
Perché giudicato “film per tutti”. Perché tutti dovrebbero vederlo. Perché la realtà delle immagini trasmesse da allora e raccolte in decine di documentari è molto più cruda e paurosa di qualsiasi ricostruzione artistica. Con buona pace del signore di Bari che a metà proiezione si è alzato in sala per gridare indignato:” Procacci basta con questa violenza! Tornatene a Roma!”.
Come se quel folle delirio fosse davvero colpa del produttore, come se l’infamia esistesse solo dentro le schermo, come se fermando la pellicola si potesse davvero lavare via tutto quel sangue.

Comunque voi la pensiate a proposito, credo che non andrebbe perso.

https://www.facebook.com/fandangoproduzione

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Posted by admin (Domande: 149, Risposte: 0)
Asked on April 13, 2012 8:19 am
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