Chi di voi non ha mai sognato, almeno una volta nella vita, di essere pagato per volare? Di far parte di quel “popolo dell’aria”, che, valigia sempre pronta, si sposta nei luoghi più belli del mondo? Quello degli assistenti di volo è un lavoro che è sempre stato circondato da un alone un po’ glamour, sarà per la divisa o per i molti film che hanno ritratto questa professione. Ma fare l’hostess o lo stewart non è solo una bella uniforme. E’ anche un lavoro stancante (per il fuso orario in primis) e richiede qualche rinuncia, come le festività coi propri cari, e qualche compromesso, sia nei rapporti con gli amici che nel crearsi una famiglia.

Per scoprire cosa c’è dietro ai motivi che hanno spinto quei ragazzi e quelle ragazze che hanno scelto questa carriera “tra le nuvole” e, sopratutto, per capire quali sono le differenze tra l’Italia e l’Inghilterra in questa area professionale, abbiamo voluto ascoltare l’esperienza diretta di Barbara, Silvio, Giovanni, Luca e Valentina.
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Dall’Italia sono arrivati a Londra per i più svariati motivi, ma nel scegliere di dedicarsi a questa bella e faticosa professione li ha accomunati un’unica cosa: il grande amore per i viaggi.

“La prima volta che sono venuta a Londra – ci racconta Barbara, 44 anni, marchigiana, a Londra dal 1990 -, era anche la prima volta che volavo. Non immaginavo che l’aereo sarebbe divenuto il mio habitat naturale. Sono partita per curiosità, in vacanza con un’amica. Poi, siccome studiavo lingue sono tornata l’estate seguente. Mi sono poi innamorata di un English man e da un mese il mio soggiorno si è prolungato…di qualche anno! La cosa più bella del mio lavoro è viaggiare, è il senso di libertà, il tempo sospeso e il fatto che ogni viaggio è diverso: non solo la destinazione, ma anche i colleghi di lavoro, i passeggeri, le situazioni, i problemi, le sfide…bisogna sempre essere pronti”.

Con Barbara è d’accordo Silvio, giovane trentunenne proveniente dalla provincia di Caserta: “sono sempre stato innamorato dell’Inghilterra, della cultura e della lingua inglese. A 23 anni, mentre ero uno studente universitario sono venuto in vacanza qui a Londra e me ne sono innamorato a tal punto che, ritornato in Italia, ho abbandonato gli studi e prenotato un volo di sola andata: avevo deciso di trasferirmi a tempo indeterminato. Fare l’assistente di volo è stato il sogno di una vita, mi è sempre piaciuto viaggiare, esplorare posti nuovi. È bellissimo girare il mondo ed essere pagato per farlo”.

Ma la vita di chi vola per professione a volte, come afferma Luca, 35 anni, della Costiera Amalfitana, a Londra da 15 anni, “può essere anche un po’ solitaria perchè su ogni volo c’è un equipaggio diverso e quindi non si ha il tempo di rafforzare le amicizie. Ma quando ti sdrai al sole di Ipanema, Rio De Janeiro con una caipirinha in mano, sei a New York a fare shopping, passeggi tra i mercatini di Hong Kong, mangi sushi a Tokyo, allora tutte le cose negative di questo lavoro scompaiono e pensi alla famosa frase ‘Find a job you love and you’ll never work a day in your life’”.

E poi la stanchezza del fuso orario, le notti in bianco, il lavoro su turni e nelle festività che non facilitano certo la vita sociale. E c’è la difficoltà di crearsi una famiglia, specialmente per una donna: “nonostante lavorassi part-time – spiega Barbara -, è stato difficile giostrare il lavoro, che implica delle notti lontana da casa e il crescere due bambine, senza avere la famiglia vicina. Oltre al fatto che l’UK non offre molto aiuto alle mamme lavoratrici”.

Nel 2001, con il terribile attentato alle torri gemelle di New York, il modo di lavorare degli assistenti di volo cambia radicalmente, diminuendo per alcuni il piacere di volare.

“Io ho cominciato a lavorare nel 2007 – racconta Giovanni, 39 anni, siciliano, a Londra dal 2005 – perciò per me non è cambiato nulla, ma so dai miei colleghi più anziani che prima il lavoro era decisamente più godibile e rilassato, specie per i piloti, che adesso devono stare praticamente blindati per tutto il volo”. Conferma questo cambiamento Barbara, che faceva già l’hostess prima dell’attentato: “con l’intensificarsi dei controlli di sicurezza, l’introduzione della porta blindata in cabina di pilotaggio e di regole molto più rigide, l’atmosfera rilassata tra colleghi e piloti non è più la stessa”.

Ma, una volta capito che solcare i cieli è quello che si vuol fare nella vita, come iniziare l’avventura? Come si diventa assistenti di volo in Inghilterra?

Il primo passo da compiere è collegarsi direttamente ai siti delle compagnie aeree e verificarne la disponibilità di offerte di lavoro. Le domande possono essere presentate sia on line che in forma cartacea e, se la compagnia in questione al momento non sta facendo assunzioni, è possibile comunque inviare il proprio curriculum e i propri contatti in modo che al bisogno si possa essere chiamati.

Se si riesce ad essere convocati per un colloquio è bene giungere ben preparati, magari esercitandosi a rispondere alle “domande tipo” che verranno proposte, facilmente reperibili su Internet. A questi colloqui vengono saggiati, tra le altre cose il proprio carattere, le proprie esperienze con clienti, la propria capacità di lavorare con gli altri, l’equilibrio emotivo.

“Un consiglio che do, se si sta già facendo un altro lavoro – ci dice Giovanni – è quello di prendersi un paio di giorni liberi per arrivare al colloquio carichi e motivati, sapendo già cosa rispondere e quale atteggiamento mantenere per tutta la giornata, stando ben attenti al linguaggio verbale e corporeo”.



Video – Recruitment con la Emirates

Non guasta poi, anzi è decisamente di aiuto, avere avuto un’esperienza lavorativa di customer service in qualsiasi settore.

Come la maggior parte dei lavori, anche quello nelle compagnie aeree richiede dei requisiti precisi a cui bisogna rispondere, anche se non sempre sono gli stessi. Per quanto riguarda l’altezza richiesta ad esempio, questa cambia a seconda della compagnia e del tipo di aereo che questa utilizza. Lo stesso discorso vale per il titolo di studio. In alcuni casi è necessario avere il GCSE, corrispondente al diploma di scuola superiore, in altri casi no. Non è inoltre necessario superare, come succede in Italia, un corso per assistenti di volo, perchè ogni compagnia fa i propri corsi di formazione, che durano dalle 4 alle 6 settimane.

Quello che invece tutte le compagnie richiedono è una salute “di ferro” e una buona vista, che può essere eventualmente corretta con le lenti a contatto (non sono infatti ammessi gli occhiali).

Il lavoro di assistente di volo va ben oltre l’offrire da bere o delle riviste ai passeggeri. Richiede la capacità di sapere gestire i momenti di emergenza, quando essere in grado di comunicare in modo scorrevole è fondamentale. Un buon livello di conoscenza della lingua inglese, almeno equivalente ad un First Certificate, è perciò un requisito assolutamente necessario.

Il salario, a causa della concorrenza dei voli a basso costo, ha subito dei tagli se rispetto al passato. Oggi un crew member guadagna mediamente tra le 25.000 e le 30.000 sterline. La retribuzione effettiva può essere superiore o inferiore a secondo della compagnia, dell’esperienza maturata, del tipo di viaggio (corto o lungo raggio), della destinazione e del tipo di contratto.

È risaputo che il Regno Unito offre infinite occasioni lavorative in tutti gli ambiti ed è per questo che è stato ed è tutt’oggi un punto di approdo per chi “scappa” da un Paese, come l’Italia, che invece stenta a soddisfare le richieste di impiego. Questo vale anche per il settore dell’industria aeronautica? È verosimile che l’Uk offra maggiori possibilità rispetto al Bel Paese, rendendo quindi più appetibile intraprendere questa carriera sul suolo britannico? Parrebbe proprio di sì.

Per Luca “decisamente sì, perchè ci sono più compagnie che fanno base a Londra piuttosto che in Italia, sia inglesi che internazionali e questo aumenta sicuramente il numero di opportunità di lavoro”.

Valentina, 26 anni, originaria di Termoli: “sicuramente le possibilità di lavoro con compagnie aeree che battono bandiera italiana sono di gran lunga inferiori per numero e condizioni di lavoro rispetto ad altre compagnie europee e non”.
“Non c’è paragone. Non c’è limite di ètà – aggiunge Giovanni – e non devi essere attraente come Tom Cruise, parlare come il Principe Carlo e col QI di Einstein! Come vogliono farti credere in Italia”.

Ma nonostante tutto il richiamo della propria terra a volte si fa sentire. Non pochi ritornerebbero volentieri “a casa” prima o poi. Ma per alcuni è più un sogno che una realtà: ”Ho fatto domanda a tutte le compagnie italiane – continua Giovanni – e non ho nemmeno avuto conferma che hanno ricevuto il mio CV. Adesso ho cinque anni di esperienza e lavoro su ben quattro diversi tipi di aeromobile”.

(Leggi le interviste integrali: Barbara,Giovanni,Luca,Silvio)